Affidato ai secoli un capolavoro che il tempo sta distruggendo
Pietro Tagliazucchi, scultore e traforista insigne, rifece in marmo, con i colori del dipinto, “La Cena” di Leonardo: stupefacente esecuzione a tutto tondo che lo scomparso artista carrarese eseguì con inimitabile perizia, quasi fosse sorretto, nell’improbata fatica, dal soffio divino dell’Autore della “Gioconda”. Ora il capolavoro, largo cinque metri e alto tre, abbellisce negli Stati Uniti la chiesa di Bares – Vermont.
di Alfredo Fantini
Carrara, settembre — Sono ritornato da queste parti dopo una lunga assenza e le creste di per sé immacolati delle Apuane , che ora lucevano anche nel caldo sole di autunno, mi commossero come ogni volta,alte e chiare nel limpido mattino, a far da sfondo allo scenario sempre nuovo della città famosa, adagiata tra monti ed il mare.«Tutta l’Alpe splendida d’eterni orgogli».
Mi venne in mente il bel verso del poeta d’Abruzzo dedicato al mio paese nelle sue “Città del silenzio,” mentre guardavo al di là delle colline verdi, degradanti verso il Tirreno. La frastagliata giogaia sulla quale indugiavano le nubi, sospese sopra le guglie del Monte Maggiore, di Pizzo d’Uccello e ddel Pisanino Il sole già alto scaldava ed illuminava le ferite inferte nei millenni all’alpe sublime**, e tutti i detriti candidi del “ravaneti,” “carni delle statue chiare” che adornano le piazze di tutti i Continenti, sembravano davvero “la statua non nata, la più bella”, uscita dalle viscere di quei monti. Erano orgogliose, quell’Alpi, per sapersi depositarie del marmo più pregiato e per il lustro che ritornava a loro dai capolavori creati da tutti gli artisti del mondo e dall’infinita schiera degli artefici carraresi. Uno di quest’ultimi, cui mi lega una lunga amicizia, era appunto Pietro Tagliazucchi, unanimemente riconosciuto dai suoi concidadini come un virtuoso nell’arte dello scalpello. Alto,allampanato come fosse consunto dalla passione della sua arte creativa, se fosse vissuto al tempo di Benvenuto Cellini, avrebbe anch'egli trovato protettori quali Clemente VII, o come Francesco I di Francia o qualche duca dei Medici.Alla celebre saliera d'oro dell'irascibile fiorentino,avrebbe potuto contrapporre almeno una dozzina dei suoi irripatibili gioielli tratti dal blocco di statuario; basterebbe citare il “Ventaglio” o “la Madonna della seggiola” di Raffaello eseguita a tutto tondo, due “pezzi” donati dall’autore ai presidenti Einaudi e Gronchi; o “l’Insidia” che si trova nel salone d’onore della Mostra dell’artigianato di Firenze, o ancora la “Cuffia,” il “Velo da sposa”, il “Vassoio”, la “Sintesi di primavera”, e “Musicisti”, il “Barboncino” e tanti altri capolavori sparsi per ogni dove. Quando non vinceva un primo premio, era perché le commissioni giudicatrici li accettavano fuori concorso, tanto erano superiori ed ogni elogio.Lo chiamavano l’artista che “sa ricamare nel marmo.” Lo ritenevano il “più grande traforista di marmo,” in Europa ma forse era “l’unico nel mondo” come giustamente rilevava Salvatore Sicilia nel suo giornale specializzato “Il Milione”; per me, lo sapevo da lui, era l'autore di qualche centinaio di sculture, fra grandi e piccole-alcune colossali-eseguite e spedite ai quattro orizzonti. Ben lo sapeva anche in altro scultore, superiore a Tagliazucchi solo per censo e parentele, al quale comissionarono dall'America nientemeno che il Cenacolo;visto che l'affresco celeberrimo si stava corrodendo nel Refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano; i fedeli della chiesa di Bares - Vermont lo vollero in marmo; un altorilievo con le figure al naturale. Lo scultore ne affido l’esecuzione al Tagliazucchi, che la realizzò interamente; non solo, ma propose ed ottene dallo scultore e dai clienti di eseguirla in marmi policromi in modo fa rifare il dipinto con i colori dell'originale. Sopra un fondo di marmo bianco che misura cinque metri di larghezza per tre di altezza, l’esecutore rifece a tutto tondo il prodigioso affresco, impiegando trentacinque qualità di marmi e scolpendone ben quattrocentocinquanta pezzi, che costituiscono l’insieme dell’opera.
Tutta la città non parlò d’altro.
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